Talvolta si ha l’impressione di essere rinchiusi in una gabbia. E questa gabbia pare diventare più stretta con il passare del tempo.
Non è impressione, non è apparenza, la gabbia c’è. Cresciamo al suo interno fino a non avere più spazio. Non tutti ancora cresciuti a sufficienza per accorgersene, non tutti ancora consapevoli nonostante la stretta.
E non è tanto importante sapere chi ci abbia rinchiuso, quanto capire di cosa sia fatta e perché ci siamo rimasti. E comprenderne la composizione, aiuta a spiegare la permanenza al suo interno per decidere se provare ad uscirne o rimanere rinchiusi nell’apparente.
Questa gabbia è fatta di fili sottili, che aumentano insieme ai giorni e si intrecciano nel cammino degli anni. Fili sottili che chiamiamo debiti. E un debito non estinto rimane e si salda agli altri.
I più immediati ed evidenti sono quelli economici e con essi poteri ed interessi di varia natura, che legano istituzioni pubbliche e private, strutture sociali e individui, in modo sempre più avvolgente giorno dopo giorno.
Ma ci sono molti altri debiti, meno evidenti, ma altrettanto limitanti. Come i legami morbosi e di sottomissione, i legami di sopravvivenza, di necessità, di dovere, di responsabilità e di riconoscenza. Tutti debiti, dai più oscuri ai più luminosi, che se non saldati rimangono. E ci legano. E chi è legato non è libero.
La liberazione da questa gabbia dipende solo da noi, in base a quanti debiti riusciremo a ripagare, rendendo le maglie più rade e creando spazi che possano essere attraversati. E uscire. Lasciando alle spalle le ultime tracce di debiti non ancora saldati, inerti e non colmabili. Ma che possono rimanere lì per sempre, perchè non ci hanno impedito di tornare liberi.
The cage – Berthe Morisot
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