Ermeneutica della follia

Esplorare la follia è difficile quasi quanto interrogarsi sull’amore, elementi affini e tangenti della nostra natura umana.

Spesso la follia è usata come espediente sociale per arginare atteggiamenti non confacenti a schemi predeterminati. Talvolta la follia è manifestazione soggettiva di un oggettivo disagio fisico e mentale. Raramente la follia racconta l’attitudine disumana nei confronti di altri esseri umani.

Mi domando allora se non sia il termine stesso ad essere semanticamente improprio, oppure se lo sia il suo utilizzo. Perché se è folle la disumanità, non può esserlo anche lo slancio ad esplorare oltre la conformità. Perché se è folle il disagio, non può esserlo anche la premeditazione. Perché se la follia è effetto, non può essere causa allo stesso tempo.

La follia è di chi cerca una visione e non si adatta ad una visuale. La follia rappresenta il conflitto fra l’io ed il sé. La follia è l’effetto dell’evoluzione in un contesto ostile.

Viva i folli, perché la loro follia è il risultato di una lunga battaglia verso la consapevolezza. Viva i folli, perché la loro follia non sarà mai l’origine di quel lungo declino verso l’oblio che gli ignavi chiamano follia, ma il cui vero nome è semplicemente inconsapevolezza. Viva i folli, perché hanno il coraggio di cercare oltre i confini e di guardare oltre l’orizzonte.

Grazie ai folli, perché esplorando l’invisibile e sperimentando l’ignoto, ci guidano alla scoperta dell’impossibile.

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